Venerdì, 06 Dicembre 2024

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Tegnue

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Con la denominazione locale di tegnùe si intendono affioramenti rocciosi naturali che si distribuiscono in modo discontinuo nell’area occidentale del Golfo di Venezia, in batimetriche comprese fra gli 8 ed i 40 m. Le dimensioni possono essere molto diverse, variando dai pochi metri quadri alle diverse migliaia di metri quadri nelle maggiori, con elevazioni dal fondale che passano dai pochi decimetri nelle formazioni basse e tavolari, spesso definitelastrure, ad alcuni metri in quelle più alte, spesso localizzate a maggiore profondità.
Mondo sommerso delle Tegnùe

Da secoli, i pescatori delle coste venete conoscono l’esistenza di ristrette zone, sparse a diverse profondità ed in diverse aree, in cui il fondale, normalmente fangoso o sabbioso, si presenta d’un tratto duro e roccioso, in corrispondenza delle quali le reti si impigliavano e spesso si perdevano. Queste aree, denominate localmente proprio per questo tegnùe - dalla traslazione dialettale di tenere otrattenere - erano da un lato temute dalla maggioranza dei pescatori per i danni che potevano portare alle loro attrezzature, dall’altro ricercate e i segreti della loro localizzazione gelosamente custoditi da quei rari pescatori che si ingegnavano a pescarvi nei pressi, riuscendo a raccogliere pesce pregiato altrimenti difficilmente rinvenibile nelle nostre acque. I fondali delle coste occidentali alto adriatiche - e venete in particolare - sono in effetti costituiti essenzialmente da distese sabbioso-fangose con prevalenza delle diverse frazioni in base alla storia geologica dell’area, all’idrodinamica locale, alla profondità, alla distanza dalla costa e all’influenza di apporti terrigeni costieri di origine fluviale.Mondo sommerso delle Tegnùe

Solo nel 1966 Antonio Stefanon dà notizia della scoperta di ristrette aree caratterizzate da fondale roccioso di natura particolare, tanto da denominarlebeachrocks, per analogia a strutture simili presenti nelle acque della California. Lo stesso Stefanon e Carlo Mozzi evidenziano, nel 1972, la presenza di biotopi a substrati solidi di natura però ancora diversa, essendo chiaramente di origine organogena (frutto cioè dell’azione di organismi incrostanti costruttori).Mondo sommerso delle TegnùeIn realtà l’esistenza di questi biotopi rocciosi, ed addirittura alcune notizie sulla loro natura, erano già note non solo ai pescatori, che come abbiamo visto tendevano di norma ad evitarle, ma da quasi due secoli anche a livello accademico. Data infatti l’anno 1792 il basilare lavoro di faunistica adriatica dell’Abate Giuseppe Olivi dal titolo “Zoologia Adriatica” in cui il dotto redattore dà notizia di “…elevazione di qualche masso calcareo nudo durissimo, il quale sorge isolato dal fondo molle.

Tali eminenze, dette volgarmente Tegnùe, conosciute ed aborrite dai nostri pescatori… …esistono dirimpetto a Maran, a Caorle, ai Tre Porti, … …soprattutto dirimpetto a Malamocco ed a Chioggia, e dal volgo sono creduti residui di due antiche Città sprofondate per una impetuosa inondazione dal mare”. Il fatto che di questa segnalazione e della stessa loro esistenza venne persa la memoria non è peraltro un fatto nuovo in campo scientifico. Mondo sommerso delle TegnùeLa credenza popolare che queste formazioni rocciose rappresentino i resti di Città sprofondate a seguito di un formidabile maremoto ricorda invece singolarmente la vicenda dell’antica Metamaucum, nei pressi di Venezia, e del leggendario insediamento romano di Petronia, presso Caorle. Dell’effettiva esistenza di Metamaucum Vetus abbiamo ormai ampia conferma dalle numerose cronache pervenuteci, e la sua scomparsa sembrerebbe collocabile in un breve periodo compreso fra il 1106 ed il 1117, comunque all’interno del quindicennio di governo del Doge Ordelaffo Falier (Dorigo, 1983).

Per l’insediamento romano poco al largo di Caorle le notizie sono meno certe, ma numerose sono le cronache (anche ufficiali, quali la mappa Archeologica Ministeriale del 1962) di precise osservazioni di imponenti resti murari attribuibili ad architetture romane ancora visibili fino ai primi anni del secolo scorso, in pochi metri d’acqua e poco distante dal porto di Caorle. Paolo Francesco Gusso, nel suo interessante articolo (Ipotesi su Portus Reatinus, 1999), ne dà ampia e particolareggiata cronaca.

Mondo sommerso delle TegnùeIn ambedue i casi, comunque, da tempo immemore i pescatori associavano l’impigliarsi delle reti alla presenza sul fondo delle rovine delle città perdute, adducendone a riprova diversi ritrovamenti di reperti antichi, talvolta di epoca romana, sulle loro stesse reti. E’ curioso notare come, tanto nell’area della supposta Metamaucum Vetus che in quella della leggendaria Petronia, siano effettivamente presenti delle consistenti tegnùe. Nella zona in cui le cronache dell’epoca collocano l’antico insediamento di Metamauco, situata a meno di tre chilometri al largo del litorale di Lido, all’altezza della retrostante isola di Santo Spirito (Dorigo, 1983) sono effettivamente localizzate alcune tegnùe, così come poco al largo di Caorle (ca. 1,5 Km) si estende un grande affioramento di tipo lastriforme, coincidenze queste probabilmente all’origine degli accostamenti nelle tradizioni popolari fra le tegnùee le favolose città scomparse riportati dall’Olivi nelle sue cronache. 

Tratto da:“Acquario delle Tegnùe” – Museo di Storia Naturale di Venezia

 

 

 

Torpediniera 88-S

A sei miglia nautiche al largo del Lido si trova una vecchia torpediniera italiana "88 S" classe Schichau di quaranta metri antecedente alla Prima Guerra Mondiale.

Il relitto giace a circa venti metri di profondità.

Il ritrovamento è avvenuto casualmente, mentre erano in corso alcuni trasferimenti dopo le riprese della troupe di "Linea Blu" ospitata a bordo della "Milvus", imbarcazione di ricerca di venti metri.

La sofisticata strumentazione di bordo di cui è dotata l'imbarcazione ha segnalato la presenza di un relitto. Verifiche più precise hanno poi permesso di accertare che si trattava di una torpediniera italiana.

Nessuno, però, fino ad ora sapeva che un'imbarcazione del genere, con una lunghezza di addirittura 40 metri, si trovasse sui fondali del Lido.

Ricerche hanno stabilito che la torpediniera italiana "88 S." era stata costruita su licenza tedesca dal cantiere Ansaldo di Genova.

Varata nel 1888, poi, dopo diversi servizi nel mar Tirreno, dal 1907 in poi venne assegnata a Venezia.

Affondata, secondo le ricerche storiche effettuate, per una collisione contro pontone che stava tentando di sollevare il sommergibile austroungarico "UB 12", affondato l'8 agosto del 1915 dopo aver urtato una mina.

Molch

“MOLCH” DI SISTIANA (TRIESTE)
 Nelle immersioni di termine corso, capita alcune volte di portare gli allievi nella baia di Sistiana, del golfo di Trieste.

La baia durante la seconda guerra mondiale era una base navale per gli idrovolanti e tutta lacostiera triestina era militarizzata con rampe di caricamento bellico e basi di assistenza ai sommergibili, con rifugi nei tunnel scavati nelle roccie per proteggerli.

Nella parte destra della baia si possono fare delle belle immersioni sotto la parete a picco sulmare, che poi sott’acqua degrada dolcemente sino ai 15 metri, osservando varie specie di flora e fauna subacquea; mentre nella parte sinistra della spiaggia (davanti la zona balneare) ad una profondità di 10 metri e ad una distanza di soli 200 metri dalla spiaggia, si trova un mini sommergibile della seconda guerra mondiale.

Si tratta di un piccolo relitto da vedere (se c’è visibilità- mediamente ottorno ai 5-8 mt.) coninteresse soprattutto per la storia che lo accompagna.

Innanzitutto quello di Sistiana non è un siluro a lenta corsa, cosidetto "maiale", ma un "Molch" tedesco. L’ S.L.C. (siluro a lenta corsa) chiamato volgarmente maiale, era invece una testata esplosiva collegata ad un apparato motore che veniva "cavalcato" da due operatori addestratiad avvicinarsi ai porti nemici.

Qui si tratta di un minisottomarino monoposto tedesco, del tipo "Molch" (salamandra), costruito dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale dal 1944 in circa 300 unità, per proteggere dagli attacchi nemici il golfo di Trieste, lungo circa 10 mt., largo 1,5 mt.

Alimentato da una serie di grosse batterie che azionavano un motore elettrico con una grossa elica in bronzo che poteva sviluppare una velocità di circa 3,3 nodi con una autonomia di quasi 100 miglia. Fornito da grandi piani e timoni di coda, per compensare la ridotta velocità e la stazza.Navigava a quota periscopio sotto la superficie del mare per avvicinarsi al bersaglio Ai lati erano attaccati i due grossi siluri che lo armavano, che venivano sganciati dal pilota in prossimità dell’obiettivo da affondare.

Alcuni anni fa si poteva ancora veder il periscopio fissi lungo 1,5 mt. che conteneva all’interno la bussola giroscopica, ma poi nonostante i relitti di guerra dopo 50 anni siano considerati musei dello stato, qualche sub senza scrupoli ha pensato di smontarlo e rubarlo, togliendo così a tutti i sub che dopo di lui si immergono per vederlo la possibilità di ammirarlo.Complimenti…al sub !!! Oggi così come si trova, senza periscopio e senza siluri, sembra quasi una cisterna abbandonata. Per gli allievi è comunque una interessante palestra subacquea, se non altro per esercizi di orientamento subacqueo per trovarlo seguendo le coordinate o i gradi di una bussola partendo da terra.

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