Tegnue
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Con la denominazione locale di tegnùe si intendono affioramenti rocciosi naturali che si distribuiscono in modo discontinuo nell’area occidentale del Golfo di Venezia, in batimetriche comprese fra gli 8 ed i 40 m. Le dimensioni possono essere molto diverse, variando dai pochi metri quadri alle diverse migliaia di metri quadri nelle maggiori, con elevazioni dal fondale che passano dai pochi decimetri nelle formazioni basse e tavolari, spesso definitelastrure, ad alcuni metri in quelle più alte, spesso localizzate a maggiore profondità.
Da secoli, i pescatori delle coste venete conoscono l’esistenza di ristrette zone, sparse a diverse profondità ed in diverse aree, in cui il fondale, normalmente fangoso o sabbioso, si presenta d’un tratto duro e roccioso, in corrispondenza delle quali le reti si impigliavano e spesso si perdevano. Queste aree, denominate localmente proprio per questo tegnùe - dalla traslazione dialettale di tenere otrattenere - erano da un lato temute dalla maggioranza dei pescatori per i danni che potevano portare alle loro attrezzature, dall’altro ricercate e i segreti della loro localizzazione gelosamente custoditi da quei rari pescatori che si ingegnavano a pescarvi nei pressi, riuscendo a raccogliere pesce pregiato altrimenti difficilmente rinvenibile nelle nostre acque. I fondali delle coste occidentali alto adriatiche - e venete in particolare - sono in effetti costituiti essenzialmente da distese sabbioso-fangose con prevalenza delle diverse frazioni in base alla storia geologica dell’area, all’idrodinamica locale, alla profondità, alla distanza dalla costa e all’influenza di apporti terrigeni costieri di origine fluviale.
Solo nel 1966 Antonio Stefanon dà notizia della scoperta di ristrette aree caratterizzate da fondale roccioso di natura particolare, tanto da denominarlebeachrocks, per analogia a strutture simili presenti nelle acque della California. Lo stesso Stefanon e Carlo Mozzi evidenziano, nel 1972, la presenza di biotopi a substrati solidi di natura però ancora diversa, essendo chiaramente di origine organogena (frutto cioè dell’azione di organismi incrostanti costruttori).In realtà l’esistenza di questi biotopi rocciosi, ed addirittura alcune notizie sulla loro natura, erano già note non solo ai pescatori, che come abbiamo visto tendevano di norma ad evitarle, ma da quasi due secoli anche a livello accademico. Data infatti l’anno 1792 il basilare lavoro di faunistica adriatica dell’Abate Giuseppe Olivi dal titolo “Zoologia Adriatica” in cui il dotto redattore dà notizia di “…elevazione di qualche masso calcareo nudo durissimo, il quale sorge isolato dal fondo molle.
Tali eminenze, dette volgarmente Tegnùe, conosciute ed aborrite dai nostri pescatori… …esistono dirimpetto a Maran, a Caorle, ai Tre Porti, … …soprattutto dirimpetto a Malamocco ed a Chioggia, e dal volgo sono creduti residui di due antiche Città sprofondate per una impetuosa inondazione dal mare”. Il fatto che di questa segnalazione e della stessa loro esistenza venne persa la memoria non è peraltro un fatto nuovo in campo scientifico. La credenza popolare che queste formazioni rocciose rappresentino i resti di Città sprofondate a seguito di un formidabile maremoto ricorda invece singolarmente la vicenda dell’antica Metamaucum, nei pressi di Venezia, e del leggendario insediamento romano di Petronia, presso Caorle. Dell’effettiva esistenza di Metamaucum Vetus abbiamo ormai ampia conferma dalle numerose cronache pervenuteci, e la sua scomparsa sembrerebbe collocabile in un breve periodo compreso fra il 1106 ed il 1117, comunque all’interno del quindicennio di governo del Doge Ordelaffo Falier (Dorigo, 1983).
Per l’insediamento romano poco al largo di Caorle le notizie sono meno certe, ma numerose sono le cronache (anche ufficiali, quali la mappa Archeologica Ministeriale del 1962) di precise osservazioni di imponenti resti murari attribuibili ad architetture romane ancora visibili fino ai primi anni del secolo scorso, in pochi metri d’acqua e poco distante dal porto di Caorle. Paolo Francesco Gusso, nel suo interessante articolo (Ipotesi su Portus Reatinus, 1999), ne dà ampia e particolareggiata cronaca.
In ambedue i casi, comunque, da tempo immemore i pescatori associavano l’impigliarsi delle reti alla presenza sul fondo delle rovine delle città perdute, adducendone a riprova diversi ritrovamenti di reperti antichi, talvolta di epoca romana, sulle loro stesse reti. E’ curioso notare come, tanto nell’area della supposta Metamaucum Vetus che in quella della leggendaria Petronia, siano effettivamente presenti delle consistenti tegnùe. Nella zona in cui le cronache dell’epoca collocano l’antico insediamento di Metamauco, situata a meno di tre chilometri al largo del litorale di Lido, all’altezza della retrostante isola di Santo Spirito (Dorigo, 1983) sono effettivamente localizzate alcune tegnùe, così come poco al largo di Caorle (ca. 1,5 Km) si estende un grande affioramento di tipo lastriforme, coincidenze queste probabilmente all’origine degli accostamenti nelle tradizioni popolari fra le tegnùee le favolose città scomparse riportati dall’Olivi nelle sue cronache.
Tratto da:“Acquario delle Tegnùe” – Museo di Storia Naturale di Venezia